Qui di seguito riporto il mio articolo apparso poco fa su Tio: Finora ho raccontato storie di discriminazioni vissute da altre persone: la giocatrice di calcio e gran consigliera a Zurigo Sarah Akanji e Silvia D’Onghia, firma storica de “Il Fatto Quotidiano”. Ora vi racconto quelle vissute da me, forse non così gravi, ma sicuramente degne di nota, anche se personalmente le definirei piuttosto indegne della nostra civiltà.
Parto da lontano, quando – giovane studentessa universitaria laureanda in scienze della comunicazione (indirizzo giornalismo) – mi affacciai sul mondo del lavoro con tutti i miei ideali su come, secondo me, doveva essere il mondo del lavoro. Primo approccio: l’ingegnere capo mi dice “tu non potrai mai fare il mio lavoro, mentre io posso svolgere facilmente il tuo”. Si comincia subito col motivare i collaboratori, giusto? Bene: non mi sono scoraggiata e mi sono rimboccata le maniche. Dopo qualche anno di gavetta, intorno ai 30 anni – in contemporanea anche al momento clou della mia carriera sportiva – inizio a candidarmi per qualche posizione dirigenziale e mi ritrovo regolarmente nei colloqui a dover rispondere alla domanda: “lei signorina desidera avere figli?” Domanda tra l’altro illegale – ma soprattutto posta come se avere figli fosse un problema serio, se non un tradimento del datore di lavoro – alla quale però mi sono permessa ingenuamente di rispondere la verità e cioè che si, volevo figli, ma che mi sarei organizzata, come ho sempre fatto con la carriera sportiva in contemporanea al lavoro. Immaginate pure liberamente come sono andate a finire le mie candidature.
A un certo punto riesco ad accedere a un posto dirigenziale; peccato però che poi ho avuto il coraggio di tener fede alle mie promesse: ho avuto una figlia e mi sono organizzata per portare avanti la mia carriera di lavoro. Risultato: dopo una settimana dal rientro dal congedo maternità il mio datore di lavoro mi dice che il mio ufficio è stato incorporato in quello di San Gallo e non sono più responsabile, con relativo ridimensionamento dello stipendio. Questo è stato un colpo basso che non mi aspettavo. Per superare i momenti più duri coloravo mandala in ufficio, alternando i momenti in cui tiravo il latte in uno sgabuzzino e lo vedevo diminuire vertiginosamente a causa dello stress. Magicamente, però, scompariva tutto quando tornavo a casa ad abbracciare la mia bambina. Fortunatamente dopo qualche mese ho trovato un nuovo lavoro, sempre come responsabile, dove mi sono permessa anche di avere una seconda bambina. Conclusione: non scoraggiarsi mai e andare avanti comunque per la propria strada, con la profonda convinzione che bisogna fare qualcosa di concreto per cambiare queste situazioni. Per le generazioni future. Affinché le strade di ognuna di noi incontrino meno inutili ostacoli. Per il bene di tutte e di tutti.