È passata da qualche giorno la festa della mamma e ora continuiamo pure a farle la festa per vedere cosa succede, o meglio: continuiamo pure a mantenere lo status quo e vediamo cosa ci diranno le statistiche tra 10, 20 o 30 anni in merito quante donne vorranno diventare mamme.

Qualche settimana fa l’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) ha pubblicato un interessante studio intitolato “Le Cifre della parità online, un quadro statistico delle pari opportunità fra i sessi in Ticino, aggiornamento 2023”. Riassumo qui di seguito alcuni punti salienti: “Nel 2020 le donne, attive nel settore privato, percepiscono un salario del 14,0% inferiore a quello degli uomini. Gran parte di questa differenza – il 94% – risulta non spiegata” nel settore pubblico la percentuale è del 9.4%, di cui il 74% non spiegata. Nel settore privato “la differenza maggiore si verifica al livello dei quadri superiori o medi, dove raggiunge il 24,9%”. Il che significa: castighiamo ancora di più le donne che osano anche fare carriera.

Ora passiamo al tema del tempo parziale e del lavoro non retribuito dove “più della metà delle donne lavora a tempo parziale (a fronte di un uomo su sei).” Con la seguente specifica, sempre dell’USTAT: “La partecipazione delle donne al mercato del lavoro, espressa mediante il tasso di attività, è simile a quella degli uomini solo fino ai 30 anni, dopodiché – complice anche l’arrivo dei figli – diminuisce e resta sempre inferiore a quella maschile.” E, se guardiamo i dettagli sui motivi del tempo parziale si legge in particolare che “solo le donne indicano tra le principali ragioni la cura dei figli (24.4%) e altre responsabilità familiari (12.8)” – 24.4 sommato a 12.8 fa 37.2 – mentre solo il 15.5% delle donne indica come motivo il fatto di non essere interessata al tempo pieno.

Per le future feste della mamma mi auguro che si smetta di farle la festa (alle mamme e a tutte le donne in generale in quanto potenzialmente mamme anche quando non desiderano esserlo) nel modo descritto dalle statistiche sopra e si faccia invece qualcosa di concreto a favore del suo importante ruolo all’interno della società.

In Svezia, ad esempio, la politica interviene su due aspetti della genitorialità: la riduzione del costo-opportunità di restare a casa e l’intervento sul work-life balance. Questo ha portato la Svezia ad avere un tasso di fertilità molto alto per la media europea, come pure un tasso di occupazione femminile e qualità dei servizi di cura molto elevati. Oggi, in Svezia, le famiglie con un neonato o un bambino adottato hanno diritto a 480 giorni di congedo parentale pagato, di cui 90 sono riservati alla madre e 90 al padre, mentre i restanti possono essere divisi liberalmente tra i genitori; anche in Norvegia la situazione è simile. In Germania, per prevenire il rischio di burnout, è stato istituito il congedo per genitori stressati: si tratta di una formula unica al mondo (“Kur”) che lavora sulla prevenzione riconoscendo un ritiro di 3 settimane, ogni 4 anni, per rimettersi in forma, se afflitti dalle incombenze familiari. Spunti interessanti da tenere in considerazione anche per il nostro paese.

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